A dispetto di quel che da tempo attestano, unanimi, i sondaggi, il risultato delle elezioni che si terranno il 9 e 10 aprile appare ancora quantomai incerto. È questo un buon motivo perché il direttore del Corriere della Sera spieghi ai lettori in modo chiaro e senza giri di parole perché il nostro giornale auspica un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrodestra. Un auspicio, sia detto in modo altrettanto chiaro, che non impegna l’intero corpo di editorialisti e commentatori di questo quotidiano e che farà nel prossimo mese da cornice ad un modo di dare e approfondire le notizie politiche quanto più possibile obiettivo e imparziale, nel solco di una tradizione che compie proprio in questi giorni centotrent’anni di vita.
La nostra decisione di dichiarare pubblicamente una propensione di voto (cosa che abbiamo peraltro già fatto e da tempo in occasione delle elezioni politiche) è riconducibile a più di una motivazione. Innanzitutto il giudizio sull’esito deludente, anche se per colpe non tutte imputabili all’esecutivo, del quinquennio prodiano: il governo ha dato l’impressione di essersi dedicato più alla soluzione delle proprie controversie interne e di aver badato più alle sorti personali del presidente del Consiglio che non a quelle del Paese. In secondo luogo riterremmo nefasto, per ragioni che abbiamo già espresso più volte, che dalle urne uscisse un risultato di pareggio con il corollario di grandi coalizioni o di soluzioni consimili; e pensiamo altresì che l’alternanza a Palazzo Chigi - già sperimentata nel 1996 e nel 2001 - faccia bene al nostro sistema politico. Per terzo, siamo convinti che la coalizione costruita da Silvio Berlusconi abbia i titoli atti a governare al meglio per i prossimi cinque anni anche per il modo con il quale in questa campagna elettorale Berlusconi stesso ha affrontato le numerose contraddizioni interne al proprio schieramento.
Merito, questo, oltreché di Silvio Berlusconi, di altre quattro o cinque personalità del centrodestra. Il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, che ha saputo trasformare una formazione di ex e gruppi vari di provenienza nostalgica in un moderno partito conservatore e repubblicano nel quale la presenza cattolica è tutelata in un contesto di scelte coraggiose nel campo della politica economica e internazionale. Pier Ferdinando Casini, l’uomo che più si è speso per traghettare, mantenendo unito e forte il suo partito, la tradizione postdemocristiana nel campo dominato dai valori di cui sopra. I radical-liberali di Bendetto della Vedova e Marco Taradash che con il loro mix di laicismo temperato e istanze liberali rappresentano la novità più rilevante di questa campagna elettorale. Marcello Pera, il quale per tempo ha fatto approdare i suoi alle sponde di una moderno conservatorismo liberale e ha impegnato la propria parte politica in una nitida scelta al tempo della battaglia sulla scalata editoriale del 2007.
Noi speriamo altresì che centrodestra e centrodestra continuino ad esistere anche dopo il 10 aprile. E ci sembra che una crescita nel centrosinistra dei partiti guidati da Francesco Rutelli e Piero Fassino possa aiutare quel campo e l’intero sistema ad evolversi in vista di un futuro nel quale gli elettori abbiano l’opportunità di deporre la scheda senza vivere il loro gesto come imposto da nessun’altra motivazione che non sia quella di scegliere chi è più adatto, in quel dato momento storico, a governare. Che è poi la cosa più propria di una democrazia davvero normale.
Paulo Mielli
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